Eletto deputato nella XXIII legislatura – e lo sarebbe stato anche nella XXIV – Patrizi ebbe modo di curare con maggiore profitto gli interessi tifernati e altotiberini.
Si deve soprattutto a lui l’impulso per istituire in città una scuola pratica per contadini, per la quale ottenne i primi contributi ministeriali nel 1915. Sarebbe stata aperta nel 1918 e in seguito a lui intitolata. Fu grazie a un suo determinante intervento che nel 1912 si sbloccò l’impasse che impediva di far giungere nella valle la linea telefonica. Guidò inoltre il comitato di pressione per ottenere la “Umbertide- Forlì”, una linea ferroviaria che finalmente desse al territorio uno sbocco verso la Romagna e il nord – esigenza rimasta inalterata con il passare dei decenni. Chiese infine, nel 1913, la linea automobilistica Città di Castello-Acqualagna, per migliorare le comunicazioni con le Marche. Quanto all’altro suo interesse prevalente – l’agricoltura – Patrizi condusse una fervida attività a favore del rimboschimento – in questo è stato un antesignano – e dell’espansione della coltivazione del tabacco. Nel 1913 anche lui divenne socio della Fattoria Autonoma Consorziale Tabacchi.
Intanto Patrizi veniva riconfermato nella carica di presidente del Pellagrosario Umbro – carica nella quale non sarebbe stato riconfermato nel 1917, in seguito alle lotte politiche divampate in città a margine della Grande Guerra.
Pochi mesi dopo la sua vittoria elettorale, l’alleanza tra socialisti e radicali conquistava anche la guida del Comune tifernate, eleggendo a sindaco Adolfo Maioli. Però il “blocco radical-socialista” cominciò a denunciare vistose crepe a partire dal 1911. L’attività parlamentare del deputato stava rafforzandone il prestigio nella valle e raccoglieva consensi ben oltre il ristretto schieramento radicale. Ciò irritò non poco i socialisti, ma il risveglio politico dello schieramento moderato, sostenuto apertamente dai cattolici, li indusse a porre in secondo piano i contrasti.
La necessità di consolidare la crescente base elettorale in uno scenario sempre più complesso e rissoso spinse Patrizi a dotarsi di un proprio organo di stampa, il “Corriere Tiberino”. Il settimanale, sorto nel gennaio del 1912, definì la democrazia radicale un partito nazionale, non aristocratico, rispettoso di ogni fede, pragmaticamente teso a trasformare la società senza sovvertire l’ordine sociale. I radicali invocarono l’esercizio di una libertà di pensiero e di coscienza limitata solo dal rispetto delle leggi e non esitarono a condannare ogni tentativo di restaurazione del potere temporale della Chiesa.
“Corriere Tiberino” sostenne l’espansione italiana in Libia. Ciò rese più tesi i rapporti con i socialisti, risolutamente avversi all’impresa militare. Inoltre Patrizi esaltò Giolitti come “spirito novatore”, “mente precorritrice” e “anima della Terza Italia, che democratizzando la monarchia affeziona ad essa il popolo”.