Truppe alleate nell’Alta Valle del Tevere.
Particolare della banda tricolore indossata dal commissario prefettizio tifernate nel 1944.

Il crollo del regime

I drammatici eventi del maggio 1944 resero ancor più cupa la vita cittadina, segnata tragicamente dall’arresto e dalla fucilazione di Gabriotti, accusato di rapporti con le formazioni partigiane, dal furioso rastrellamento dei tedeschi alla caccia dei “ribelli”, dalla deportazione di numerosi giovani in Germania e dal pesante bombardamento che distrusse lo Stabilimento Lapi e fece una strage nella frazione di Sansecondo.
La morte di Gabriotti scosse la città. Riferì Giulio Pierangeli: “Fu quel giorno un giorno di profondo lutto cittadino. Al lutto mostrarono di partecipare gli stessi fascisti, resisi pieno conto della enormità di quanto era avvenuto e ansiosi di non assumerne la responsabilità: tutti volevano aver fatto l’impossibile per salvargli la vita”. Eppure lo aveva arrestato la Milizia tifernate e lo avevano sottoposto a interrogatorio due tifernati, il comandante del presidio Dorando Pietro Brighigna e Pietro Gambuli; e fascisti, ma non del luogo, erano stati quanti avevano insistito per la fucilazione, quando il comandante tedesco Hans Tatoni sembrava cedere alle suppliche di clemenza del vescovo Cipriani, e i militi offertisi volontari per il plotone di esecuzione. Per questa “macchia indelebile” – concluse Pierangeli – “la responsabilità rimane intera a tutto il Fascismo repubblicano tifernate, perché nessuno degli aderenti ebbe il coraggio di rassegnare le dimissioni dal partito come protesta contro l’efferata esecuzione”.
Lo sfondamento della linea difensiva tedesca a Cassino, il 18 maggio, e la liberazione di Roma da parte degli alleati, il 4 giugno, impressero un’accelerazione agli sviluppi militari. Ai fascisti più compromessi con il regime si pose l’arduo quesito se restare in città, accettando la sconfitta, o trasferirsi oltre la Linea Gotica, nel territorio italiano ancora controllato dalla Repubblica Sociale e resistere all’avanzata anglo-americana a fianco dei tedeschi. Molti fuggirono al nord. Il commissario del comune, Puletti, abbandonò Città di Castello il 13 giugno. La fuga al nord sarebbe stata considerata un’aggravante dalla commissione preposta nel dopoguerra all’epurazione dei fascisti dagli impieghi pubblici.
Con la totale disgregazione del fascismo repubblicano tifernate, mentre gli alleati erano ormai alle soglie di Perugia, la città rimase in mano ai tedeschi. Puletti ne aveva affidato le sorti al pretore Celso Ragnoni, che svolse un’attività meritoria e coraggiosa per salvare il salvabile. Infatti i tedeschi il 19 giugno ordinarono lo sfollamento obbligatorio della popolazione. Cadde ogni illusione di rapida e indolore liberazione e iniziò invece un mese durissimo di saccheggi, distruzioni, bombardamenti e battaglie.
Gli inglesi entrarono a Città di Castello il 22 luglio.