Il funaio che lavorava ai Frontoni.
Carte intestate di negozi di cordami

I funai

Nel ricordo popolare, il mestiere del funaro, o cordaro, è legato ai Frontoni, l’area sottostante le mura urbiche tra il torrione di porta Santa Maria e il Prato. Lì lavorò l’ultimo funaro tifernate, Nicola Grilli.
Dell’occupazione di un tratto dei Frontoni per l’attività dei funari si parla già in un documento del 1864. Il cordaro Antonio Marchioni (1830-1888), che aveva “sempre lavorato presso le mura interne di questa città, nel tratto dalla Madonna dei Casceri alla porta San Florido”, vedendosi affiancare nello stesso pomerio dal collega Angelo Corbucci, ottenne dal Comune di poter “lavorare la corda con la rota nel piazzale presso il ‘gioco della forma’, cioè a capo di detto gioco verso la porta Santa Maria”. Il gioco della forma, assai in voga all’epoca, si svolgeva infatti proprio ai Frontoni, luogo prediletto dai tifernati anche per le loro uscite fuori porta nel tempo libero. E, lungo la “passeggiata dei Frontoni”, nel 1880 il Municipio attestava ancora la presenza di ben due cordari. Di Marchioni non se ne parlava più. Di certo si era trasferito in quell’area il principale artigiano del settore, Angelo Corbucci, che si definiva titolare di una “fabbrica di canape e cordaggi”. L’attività commerciale di Corbucci (1837-1882) fu continuata dalla moglie Zelmira Burchi.
In quegli anni ‘80 sono documentati pure i funari Valentino Bistoni (1848-1920), “lungo le cerche di San Bartolomeo”, e Giuseppe Battistelli, nel pomerio dietro la chiesa di Santa Maria Nuova. Ai Frontoni, oltre a Corbucci, c’era il funaro marchigiano Eusebio Gaudenzi (1845-1921). Negli anni successivi vi avrebbero lavorato Sante Caldei (1852-1921) – censito come canapaio nel 1890 – e, infine, Nicola Grilli. Per la fabbricazione delle funi abbisognavano della canapa e un’apposita ruota. Vi erano applicati dei rocchetti cui facevano capo i fili di canapa. Il cordaro teneva la stoppa di canapa avvolta attorno alla vita; indietreggiando lentamente in linea retta, ne aggiungeva man mano mentre la ruota, girata da un garzone, attorcigliava i fili e formava la corda. Le funi di maggiore diametro venivano realizzate mettendo insieme corde più sottili. Si producevano così i cordami per i vari usi: funi per i buoi, canapi da tiro e corde per pozzi e campane. Infatti al funaro veniva richiesta anche la “messa in opera” delle corde nuove delle campane e la “piombatura” di quelle vecchie”.

Gli estratti dal volume Artigianato e industria a Città di Castello tra ‘800 e ‘900 mancano delle note