Gli anni della Grande Guerra

Nell’anno scolastico 1914-1915, promossero alla classe successiva 78 allievi della Scuola Operaia, altri 12 completarono il corso di studi. L’Italia era già entrata in guerra quando, nell’anno successivo, i corsi di disegno geometrico e ornamentale, di disegno applicato ai vari mestieri, di plastica e di cultura generale contavano 38 falegnami, 31 fabbri meccanici, 20 muratori, 14 decoratori, 8 scalpellini, 18 tipografi, 4 sarti e 3 calzolai. Le lezioni si svolsero dal 31 ottobre 1915 al 31 luglio 1916, d’inverno dalle ore 19 alle 21, d’estate dalle 20 alle 22.
Anche la Scuola patì il prolungarsi della guerra. Finirono sotto le armi diversi allievi e insegnanti.
Benché nell’anno scolastico 1916-1917 gli iscritti fossero 114, a riprova dell’avvenuto radicamento della Scuola nella realtà locale, si rischiò davvero di dover sospendere l’attività didattica. Eppure non venivano meno buona volontà e ambizione. Se ne ebbe una riprova nell’agosto del 1916, con un’esposizione dei lavori degli allievi che, non potendo disporre dei manufatti di chi era ormai al fronte, fu arricchita da saggi di stampa e da opere delle tipografie di Città di Castello. Si trattò in effetti della prima Mostra del Libro promossa localmente.
La mostra ripropose la questione della formazione professionale dei tipografi. In effetti l’idea di dotare la Scuola Operaia di un reparto tipografico ebbe proprio allora un’accelerazione. Ma i sacrifici finanziari imposti dalla Grande Guerra resero inattuabile il progetto.
Nonostante le ristrettezze, ad alimentare concrete speranze nello sviluppo della Scuola Operaia erano le vicende del testamento di Gio:Ottavio Bufalini. Il marchese, deceduto nel 1896, aveva disposto che parte del suo ingente patrimonio fosse devoluto a favore di “una Istituzione di Beneficenza da denominarsi Officina Operaia Giovanni Ottavio Bufalini a favore di esercenti arti e mestieri nei Comuni di Città di Castello e di San Giustino”; ciò si sarebbe concretizzato qualora una sua cugina,Emma Orlandini del Beccuto, raggiunta l’età di 55 anni, non avesse avuto prole maschile. Già nel luglio 1914, alla scadenza del termine posto da Bufalini, si ebbe conferma che la Scuola Operaia avrebbe potuto contare sul lascito ereditario del marchese. Ma fu il 1° novembre 1916 che, concluso tutto l’iter della successione, le Congregazioni di Carità di Città di Castello e di Sangiustino presero in mano la gestione del patrimonio ereditato.
I due enti altotiberini non furono subito concordi sulla strada da percorrere. Tuttavia dettero un contributo determinante per appianare le divergenze e per delineare una lungimirante strategia Giulio Pierangeli, che ricopriva contemporaneamente gli incarichi di presidente della Scuola Operaia e di segretario generale della Congregazione tifernate, e il ragioniere Sante Meocci, segretario di quella sangiustinese. Con una delibera del 26 febbraio 1920, le due Congregazioni avrebbero stabilito in L. 12.000 annue la rendita del patrimonio Bufalini per il finanziamento della Scuola Operaia, ponendo come condizione la loro rappresentanza nel consiglio direttivo e l’istituzione di una sezione distaccata a San Giustino. Nel corso dello stesso anno, considerato che la svalutazione della moneta aveva reso irrisori i sovvenzionamenti degli altri enti, le Congregazioni subentrarono nell’amministrazione della Scuola, imponendole il nome ispirato dal marchese: “Officina Operaia Gio:Ottavio Bufalini”.