Nel primo decennio del Novecento i fornaciai furono tra le categorie più attive sindacalmente. Il periodico socialista “La Rivendicazione” ebbe modo di illustrare le loro condizioni di vita e di lavoro. Scrisse: “L’estrazione della materia prima dal monte o dal suolo si fa in genere a giornata o a cottimi per gruppi di operai. Il lavoro non è però possibile col cattivo tempo. La bagnatura, ammanitura e messa a forma del mattone o tegola è eseguita a cottimo. Non si può lavorare col cattivo tempo e dopo la pioggia è necessario attendere che il terreno sia asciutto prima di riprendere il lavoro. Se il pezzo, mentre sta asciugandosi, viene bagnato dalla pioggia, non è più servibile. Questa operazione subisce una stagione morta di sei mesi, dall’ottobre al marzo. Per essa si può considerare un totale di 120 giornate lavorative all’anno. Per il trasporto dei pezzi alle fornaci e per l’infornatura il salario è pure a cottimo. Tale lavoro si compie anche nella stagione invernale. Il cattivo tempo non nuoce specialmente per l’infornatura. Se la triturazione, bagnatura e formazione del pezzo è eseguita a macchina, gli uomini adibiti alle macchine (lavoratori non qualificati, tranne il fuochista) sono pagati a tempo. Il lavoro deve interrompersi col cattivo tempo e non può farsi nella stagione invernale”.
Il settimanale così si espresse in merito alle condizioni dei cottimisti, in particolare degli “spianatori”, i quali – eravamo nel 1907 – avevano dato vita a un’agguerrita Lega di Resistenza: “Essi lavorano solo per sei mesi dell’anno, rimanendo negli altri mesi quasi sempre disoccupati. Nei sei mesi di occupazione lavorano per quindici o sedici ore al giorno in fatiche gravissime, che un’ora di cattivo tempo basta a distruggere. Da ciò risulta la necessità che i loro salari siano abbastanza elevati, in modo da permettere loro di fare qualche risparmio per i mesi di forzata disoccupazione e di nutrirsi in una misura meno insufficiente nei mesi di lavoro”. E ancora: “Attualmente un buon spianatore di fornaci giunge a guadagnare L. 2,50 al giorno, cioè in un anno ha un’entrata di 350 lire, che non giungono certo a 450 con i lavori straordinari come bracciante o manovale, entrata evidentemente scarsissima”.
Oltre che sulla necessità di incrementi salariali, i fornaciai ponevano dunque l’accento sul superlavoro al quale erano costretti e sui danni che subivano in caso di cattivo tempo. Quanto al primo problema, fecero notare che nei sei mesi di “campagna” non potevano permettersi che “due o tre ore di riposo” la domenica. La Lega propose quindi un orario di lavoro (definito comunque “ancora troppo gravoso”) “dal levare al cadere del sole, con tre quarti d’ora di riposo per colazione e con un’ora e mezza a mezzogiorno”. Ma l’organizzazione sindacale trovò inaspettate resistenze tra gli stessi fornaciai, molti dei quali, “eccitati dal cottimo”, non gradivano la prospettiva di veder ridotto l’orario di lavoro giornaliero.
Particolarmente ingiusto veniva considerato il fatto che i danni arrecati al materiale in lavorazione fossero sopportati esclusivamente dagli operai: “Se una pioggia viene a rovinare e a distruggere il lavoro fatto, chi ne risente il danno non è il proprietario ma l’operaio, che si vede così privato della remunerazione dovutagli”. La Lega chiese pertanto che il danno causato dalle intemperie gravasse a metà su proprietario e operaio.
Costituita ufficialmente all’inizio del 1907 e guidata dal romagnolo Giuseppe Savini, la Lega dei Fornaciai riuscì a organizzare la quasi totalità degli “spianatori” di Città di Castello, Riosecco, Piosina, Lama, Selci e Sansecondo. […] Nel gennaio del 1908 contava 15 associati a Lama e 22 a Città di Castello. Riuscì più volte a conquistare dei ritocchi alle tariffe del cottimo. In quel periodo la Lega si interessò per la prima volta dei fornaciai giornalieri (un centinaio da Sansepolcro a Città di Castello) e dei fuochisti, ancora non organizzati sindacalmente. I giornalieri venivano allora pagati 15/17 centesimi l’ora, i ragazzi 10/12 centesimi l’ora; riuscirono a strappare aumenti di 25 centesimi al giorno. Non si sa a quanto ammontasse il salario dei fuochisti per i quali, “tenuto conto che essi hanno un lavoro molto pesante e prolungato”, si chiedeva un incremento di L. 0,60 al giorno.
Gli estratti dal volume Artigianato e industria a Città di Castello tra ‘800 e ‘900 mancano delle note