Fede e guerra

Il contadino Paolo Tavernelli seppe trovare le parole per esprimere il senso del dovere come cittadino e come cristiano: “Io, caro babbo, sono rassegnato e preparato a affrontare coraggiosamente per la suprema difesa della Patria le più dure e penose fatiche ed i più spaventosi pericoli. A tutti chiedo perdono di quanto posso aver fatto di male. Al destino supremo lascio la esistenza, ed al Signore offro il sacrificio della mia vita. Così preparato serenamente passo le giornate eseguendo gli ordini e compiendo il mio dovere”.

Un altro contadino, Girolamo Morini, coniugò con sentito trasporto e con sereno abbandono gli ideali patriottici e religiosi. La lettera alla cugina, nella quale presentiva la fine incombente, fu resa nota dopo la morte per gas asfissianti sul Monte San Michele: “Puoi pensare da te quale sarà il mio animo al pensare che trovandomi su da un momento all’altro potrò morire. Il Cielo in quel momento mi guiderà […]. Forse solo in Cielo ci potremo rivedere. Non piangere, ma prega e volgi spesso lo sguardo al Divin Creatore che ti farà ricordare del tuo cugino caduto per la grandezza della Patria. […] Io affronterò tutti i pericoli che mi verranno davanti fino all’ultimo punto sperando nell’aiuto del Cielo, e se non sarò degno di questa grazia allora darò il mio sangue per la Patria e morirò sulle vette del Carso. Ah! quante e quante lacrime di sofferenza si spargono su queste faticose colline. Ma che fare? Conviene andare avanti così, facciamo di buon cuore il nostro dovere e Iddio ci guardi a tutti”.

 

Sacerdoti al fronte

La consapevolezza che il cimento della guerra avrebbe richiesto ogni energia fisica e morale agevolò il riavvicinamento tra Stato e Chiesa per garantire l’assistenza spirituale dei soldati. Il governo italiano ripristinò quindi i cappellani militari, determinandone il ruolo con la circolare del 12 aprile 1915. La firmò il generale Cadorna, convinto cattolico. Un sacerdote altotiberino che servì come cappellano fu Domenico Vannocchi. Chiese di poterlo fare non appena ricevette la cartolina precetto per l’arruolamento, il 9 maggio 1915. Ebbe la nomina dopo pochi giorni (“spoglio le uniformi da soldato e vesto l’abito talare”). Fu cappellano anche don Biagio Cipriani, fratello di mons. Filippo Maria Cipriani, poi vescovo di Città di Castello; appartenevano a lui due album fotografici della Grande Guerra ai quali abbiamo attinto per illustrare il volume.

I sacerdoti chiamati alle armi furono prevalentemente impiegati nella sanità militare. …