Macchine agricole in mostra a Palazzo Vitelli a Sant’Egidio nell’Esposizione del 1893.
Carta intestata e cartolina dei fabbri e meccanici tifernati Cerquali, Innocenti e Malvestiti.

Fabbri e meccanici di fine ‘800

Nell’ultimo scorcio del secolo, non esistevano altre officine di apprezzabile consistenza, oltre a quella di Vincenti. Il censimento del 1881, infatti, rivelò ancora una realtà di minuscole botteghe artigianali: si contarono nel territorio comunale 109 fabbri ferrai, di cui “53 padroni e 56 giornalieri”. Erano però pochi gli artieri che, o per le di­mensioni dell’officina o per la qualità dei prodotti, venivano citati nei periodici resoconti statistici della situazione economica e sociale di Città di Castello. Dal 1890 al 1899 si ripetono solo i nomi di Guglielmo Vincenti, Alessandro Cerquali, Giuseppe Bianchi e Giovan Battista Bargiacchi.
L’unico fabbro che cercasse in qualche mo­do di competere con Vincenti era Alessandro Cerquali. All’Esposizione tifernate del 1893 presentò alcune macchine di sua produzione: una trebbiatrice e una sgranatrice operanti a mano, una carretta in ferro, del macchinario per scuotere la paglia, un ventilatore e pigiatrici da uva. Qualche anno dopo si proponeva per riparazioni alle trebbiatrici e “la­vori di ogni genere”. Aveva fama di buon ar­tiere del ferro battuto.
Il successore di Leomazzi, Giovan Battista Bargiacchi, detto “Bargiacca”, mantenne fino all’inizio del Novecento un solido rapporto di lavoro con la “catredale” – così vi si riferiva, in dialetto, nelle fatture – e con il Seminario. Si affidarono a lui an­che la Compagnia di Sant’Antonio e la So­cietà Laica del Camposanto. Il suo nome compare per l’ultima volta nei registri contabili del Seminario nel 1903.
Natura assai diversa e dimensioni ben più cospicue aveva l’officina ferroviaria impiantata fuori porta Sant’Egidio in seguito all’apertura della linea Arezzo-Fossato nel 1886. Dava lavoro a circa 25 operai, diretti da Giuseppe Leveque, e si dedicava alla riparazione del materiale mobile e alla manutenzione dei fabbricati di proprietà dell’“Appennino Centrale”.
Poche notizie si hanno degli altri fabbri mi­nori.
Nell’ambito del fervido movimento solidaristico tifernate nel 1872 si costituì anche la Società di Mutuo Soccorso tra i Fabbri Ferrai ed Arti Affini. Si trattò dell’evoluzione dell’antica Università dei Fabbri, il cui patrimonio confluì nella nuo­va associazione. Vi aderirono anche bullettai, chiavai, armaioli, maniscalchi, orefici e orologiai, stagnini e ottonai. La Società, i cui soci dovevano avere tra i 16 e i 40 anni di età, ga­rantiva “un temporario sussidio in caso di ma­lattia” e “una pensione negli anni della vecchiaia od in caso di assoluta impotenza al la­voro”; nei limiti del possibile, inoltre, tentava di procurare un collocamento ai soci privi di occupazione.
L’artigianato fabbro-meccanico si stava ormai articolando in diverse specializzazioni. Così, mentre si affermavano più moderne tecnologie, alcuni artigiani seppero cogliere le nuove richieste della committenza.
Leopoldo Brizi si perfezionò nei sistemi di illuminazione a gas acetilene; reclamizzava “impianti stabili e precari, a luce costan­te chiarissima, garantiti contro gl’incendi e lo scoppio”.
Un altro abile meccanico, Giuseppe Micchi, riparava macchine industriali e agricole e istallava impianti elettrici, campanelli, tele­fo­ni e parafulmini; inoltre – eravamo già nel 1900 – noleggiava biciclette nella bottega di corso Vittorio Emanuele II.
Nel medesimo settore dell’impiantistica operavano, alla fine del secolo, Attilio Malvestiti e Lorentino Innocenti. Questi aveva un fratello, Esdra, prima sussidiato dal Municipio per impratichirsi con la meccanica all’officina Vogel di Tolentino, quindi inviato all’Esposizione di Torino del 1884 per studiare i vari tipi di illuminazione e considerarne la possibile applicazione in città. Malvestiti e Innocenti, uniti anche da una comune idealità democratica e temuti dalle autorità di polizia come “sovversivi”, garantivano una vasta gamma di servizi: “Si eseguisce qualsiasi lavoro riferentesi all’arte meccanica”, scrivevano negli annunci pubblicitari, dichiarandosi in grado di riparare motori agricoli e industriali, trebbiatrici e pompe, velocipedi e macchine da cu­cire; inoltre applicavano campanelli, micro­fo­ni, telefoni, bagni galvanoplastici e parafulmini. Nel 1900 Malvestiti uscì dalla società e i fratelli Innocenti costituirono l’omonima Agenzia Applicazioni Elettriche. Di lì a poco, però, Lorentino dovette emigrare.