Da Pais a G. Tacchini

Gli anni della guerra lasciarono una traccia profonda in Giuseppe Tacchini, che si ammalò di malaria quando si trovava in Africa Orientale e di pleurite al ritorno in Italia. Mentre Tacchini era ancora convalescente, nel 1943 Pais dovette assumere un altro apprendista. La scelta cadde su Francesco Bani, un quindicenne nato a Nizza, dove il padre Agostino, muratore, era emigrato nel 1922. “All’inizio” – ricorda Bani – “feci quello che toccava a ogni garzone: in camera oscura, quando si impressionava i fogli di carta sensibile, scrivevo i numeri di serie sul retro dei fogli di ciascuna di esse per poterle poi rimettere insieme una volta stampate; poi smuovevo le stampe sulla vasca del fissaggio; quindi, per asciugarle, c’era da mettere sui telai di legno quelle opache e sulla smaltatrice quelle lucide; alla fine bisognava rifilarle con la taglierina, timbrarle e inserirle nelle buste. Un apprendista doveva inoltre imparare presto a preparare gli acidi, dosando con precisione i due prodotti chimici che servivano per fare il fissaggio e i cinque che, quand’ero da Pais, ci volevano per lo sviluppo. Questo, i primi tempi; poi, a forza di lavorare, sono diventato un bravo stampatore e ritoccatore”.

Al termine del conflitto, Francesco Pais aveva con sé Tacchini, Bani e due altri collaboratori con lui ormai da diverso tempo, Elmo Palazzi e Angiolo Varzi. In quel dopoguerra, però, per quanto lo Studio Pais vantasse nei suoi avvisi fotografici di poter fotografare “tutto, tutti, ovunque” e di offrire “tutto per la fotografia artistica e industriale, tutto per il dilettante”, non vi era abbastanza lavoro per poter tenere a bottega l’intero personale. Con Pais e Tacchini rimase il più giovane Bani. Palazzi e Varzi dovettero lasciare lo Studio.

Elmo Palazzi emigrò in Argentina, a Rosario. Non trovò però da lavorare in campo fotografico. Scrisse nel 1953: “Qui la fotografia è quasi morta, rispetto all’Europa e anche il materiale più elementare, come ad es. i rotolini, si fanno sempre più rari nel commercio”. Solo alla fine del decennio trovò occupazione nel più prestigioso studio fotografico di Rosario. Una sua considerazione testimonia di come i ricordi fotografici contribuissero a tener legata la folta comunità di emigrati tifernati in Argentina: “Ognuno di noi presenta una fotografia con il timbro di Pais, come minimo i castellani ce ne hanno tutti una”. Quanto ad Angiolo Varzi, si trasferì a Cefalù nel 1950. Lo sviluppo del turismo straniero in quella località siciliana gli permise due anni dopo di avviare una fortunata attività commerciale con il suo studio Foto Moderna Angiolo Varzi. Poté anche presentarsi come “Photographe Exclusif du Club du Village Magique”.

In quell’ultimo scorcio degli anni ’40, fu lo Studio Pais a documentare fotograficamente la rinascita della democrazia, con gli affollati comizi in piazza dei partiti di massa, i cortei e le assemblee nei cinema, le manifestazioni sindacali. E ricchissimo è il patrimonio di immagini prodotto in quell’epoca dal mondo cattolico.

Nel 1949 Giuseppe Tacchini propose una sua mostra di fotografia artistica, la prima personale nella storia tifernate di cui si abbia documentazione. La allestì alla Galleria dell’Angelo, un ritrovo di artisti dove, in precedenza, avevano esposto Aldo Riguccini (De Rigù) e l’ancora quasi sconosciuto Alberto Burri.

 

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