Ricevuta di riscossione firmata da Benedetto Massa.

Capomastri di metà ‘800

Partiremo dalla metà dell’Ottocento. I capomastri più cospicui risultavano GioBatta Bellucci e Francesco Muscini. Nel 1853 si impose loro una tassa di esercizio di due scudi annui; comunque si sottolineò che si trattava di “braccianti e giornalieri, lavorando essi stessi, e percependo il quantitativo per la giornata come altri operaj”. Per tutti gli anni ‘50 furono essi gli unici muratori tassati.

GioBatta Bellucci rimase a lungo “comunale muratore”. Un esame dei lavori affidatigli illustra quali fossero le più consuete commesse municipali. Tra il 1850 e il 1859 effettuò riparazioni al ponte sul Tevere, al “Frontone”, alle carceri, al mattatoio, “nella libreria pubblica”, nelle camere e nei “luoghi comodi” del palazzo Governativo” – dove impiantò anche un “girarosto” -, “alli corpi di Guardia Austriaci delle porte del Prato e di S. Egidio”, in un negozio di proprietà pubblica e “ai bracci di ferro a vari lampioni della notturna illuminazione”; “accomodò” i tetti e i finestroni del Campo Santo, dove eresse il campanile; ristrutturò, per adattarle a caserme, Sant’Antonio e gli Offici Vecchi, dove successivamente sistemò le scuole; spurgò cloache e scaricò latrine; restaurò il pozzo del pubblico mattatoio, i tetti dei palazzi comunale e governativo e di quello della casa del “portinaro” di porta San Giacomo, dove costruì pure l'”officio daziario”; rimise pietre nelle Logge del Grano; sistemò la libreria dell’Accademia Floridana; rifece la casa comunale presso porta Santa Maria, il tetto della casa “ad uso della stamperia” e un caminetto nel palazzo comunale; collocò i lampioni nella città, con il fabbro Luigi Leomazzi, il verniciatore Angelo Fanfani e il falegname Giovanni Nicolucci; infine gli si affidò il restauro delle mura, per il quale compito avrebbe dovuto selezionare “li lavoranti a cucchiaja onde apprenderne la capacità, ed idoneità, volendo [il Municipio] che sianvi impiegati quelli che assolutamente conoscono il mestiere, e non gl’inetti”.

 

Gli estratti dal volume Artigianato e industria a Città di Castello tra ‘800 e ‘900 mancano delle note