Colle e santuario di Canoscio.
Immagini delle distruzioni arrecate al santuario dai combattimenti.

Battaglia di Canoscio e avanzata alleata lungo il Nestoro

La mattina del 9 luglio 1944 scattò l’attacco anglo-indiano nella valle del Nestoro i reparti gurkha e sikh della 7a brigata indiana di fanteria, appoggiati da carri armati della Warwickshire Yeomanry, si attestarono presso Monte Alvieri, affacciato sul piano. I gurkha proseguirono verso l’antico castello di Ghironzo, dove intorno alle ore 10.30 sorpresero una postazione nemica: per sei degli otto tedeschi non ci fu scampo. Una pattuglia di sei partigiani della banda di Morra accompagnò i soldati indiani: Aldo Pacciarini li vide decapitare i tedeschi con i loro kukri subito dopo averli colpiti con le armi da fuoco. Nel frattempo i sikh proseguirono lungo il crinale in direzione di Volterrano, nella parte più alta della valle; vi sarebbero giunti alle prime ore del 10 luglio.

Nella valle del Nestoro le bande partigiane di Morra, Monte Santa Maria Tiberina e Badia Petroia, appena riaggregatesi dopo lo sbandamento provocato alcuni giorni prima dal rastrellamento tedesco sul Monte Favalto, si mantennero operative al fianco degli Alleati come guide e per i servizi di pattuglia.

Nella notte dal 9 al 10 luglio iniziò l’aspra battaglia per la conquista dei colli di Canoscio e del Castellaccio, obbiettivo rispettivamente dei gurkha e del battaglione Durham della 10a brigata indiana. Al comando del tenente colonnello A. Fullerton, i gurkha si mossero da San Vincenzo alle 20.30 del 9 luglio. I tedeschi del 2° battaglione del 132° reggimento riuscirono a inchiodarli sulle loro posizioni fino alle ore 2 della notte, ma poi dovettero cedere all’ulteriore assalto nemico. Alle 4.30 del mattino del 10 luglio il santuario di Canoscio era in mano anglo-indiana. Ebbe successo anche l’attacco del Durham, che occupò la stazione di Trestina alle ore 10.30 e quindi il Castellaccio alle ore 12 dello stesso giorno.

La battaglia non finì lì. Come al solito, quando cedevano posizione di maggior rilievo, i tedeschi tentarono dei contrattacchi. Nel primo pomeriggio ve ne furono due a Canoscio e uno al Castellaccio. Ma senza successo. Cadde così in mano alleata, dopo “feroce combattimento all’arma bianca”, quella che veniva considerata una “area nodale” e strategica, con le sue alture in posizione dominante a nord del Nestoro.

Don Giulio Agricola si trovava nel santuario di Canoscio quando divampò la battaglia. Questo il suo racconto: “Scena d’inferno! […] Vidi fitte schiere di carri armati che salivano, salivano, attraverso i campi. Vidi centinaia di bocche di fuoco rivolte al Santuario. Qualche casa bruciava colpita dalle granate, qualche capanno era in fiamme. Dalla pieve in su quale desolazione! […] Vidi alfine sbucare dalle macchie, dai cespugli e dalle siepi centinaia di soldati che con fanatico ardore avanzavano conquistando sempre più in alto la posizione nemica. […] All’improvviso, una tempesta furibonda di granate di grosso calibro sfonda le mura colossali e lo stesso pavimento [del santuario]: riempie il sotterraneo di terra e di polvere, di fumo e di macerie. Salvo per miracolo, mentre mi ripulivo alla meglio e stropicciavo gli occhi per vedere e fuggire altrove, sentii un boato tremendo, un lungo fracasso d’inferno che sembrava il finimondo: erano cadute due grandi arcate, era crollata la metà della volta maestosa e imponente del nostro santuario”.

Dalla vicina Falerno, Teodorico Forconi fu un altro testimone di quei combattimenti: “Gli alleati sono al Castellaccio. […] Una visione pietosa, dolorosa, commovente, macabra. Dal Santuario di Canoscio scendono soldati tedeschi, agitando una bandiera bianca, seguono soldati che trasportano feriti su teli da tenda. Mi commuovo e mi levo il cappello davanti al dolore, al sangue, alla morte. Ma per chi si soffre e si muore così? La battaglia continua”.

Infine gli indelebili ricordi di chi allora visse da bambino gli eventi che sconvolsero quella parte del territorio altotiberino: “[…] vidi una scena raccapricciante: una batteria tedesca era stata colpita dalle granate. C’erano morti e feriti dappertutto. Chi chiamava la mamma, chi urlava… una cosa pazzesca! La macchia con i nostri rifugi fu tutta spianata dalle bombe, sembrava che il fuoco l’avesse divorata! Se non fossi fuggita io, i miei sarebbero rimasti lì. Loro credevano di essere al riparo dentro quelle buche, invece vi avremmo trovato tutti la morte!”; “Giù a Canalicchio gli angloamericani avevano individuato una pattuglia tedesca appostata dietro una grossa siepe e l’avevano bombardata. Quanti morti! Ritrovarono le braccia da una parte, le gambe da un’altra… Li avevano uccisi tutti!”; “Con sei, sette famiglie ci riparammo in una grotta presso il Castellaccio di Trestina. Da lì assistemmo al bombardamento delle nostre case. […] Scappammo verso Busco e lì gli uomini, diventati più esperti, scavarono una grande grotta, così sicura e ben fatta che quando i tedeschi scoprirono il nostro rifugio, ci mandarono via per sistemarcisi loro. […] Arrivavano anche le cannonate e noi, una cinquantina di persone, stretti stretti nel nostro rifugio tra paglia, fieno e coperte…”.

Il 10 luglio, nella zona di Canoscio, persero la vita a causa della guerra due forestieri che vi erano sfollati, un contadino e una bimba di un anno di età; a poca distanza, a Badia Petroia, schegge di granate uccidevano il capomastro antifascista tifernate Giuseppe Antoniucci, con la figlia adolescente, e un anziano mezzadro. L’indomani morì un ragazzo di 19 anni a San Secondo. Il 12 luglio altre due vittime tra la popolazione contadina, a San Secondo e a Valdipetrina.

La giornata di domenica 10 luglio vide gli anglo-indiani assumere il completo controllo della valle del Nestoro. I gurkha trovarono Morra evacuata dai tedeschi e al tramonto cominciarono a inerpicarsi verso Monte Civitella, che raggiunsero con una lunga marcia silenziosa sotto una lucente luna piena”. Poi all’alba liberarono Mucignano da un piccolo manipolo tedesco e proseguirono lungo il crinale verso Toppo, Sant’Agnese e Meone, affacciandosi sulla valle dell’Aggia. Contemporaneamente i sikh proseguirono da Volterrano verso Poggio Civitella e assunsero il controllo della zona la mattina dell’11 luglio. Ormai, su quel territorio impervio, poco potevano fare i carri armati e nella loro avanzata i sikh si giovarono dell’apporto dei muli. Nelle operazioni di quel giorno tre sikh persero la vita in uno “spiacevole incidente di fuoco amico”.

Intanto, tra le valli del Tevere e del Nestoro, i genieri della 10a Indian Divisional Engineers, stavano creando i presupposti per alimentare l’avanzata. Il 9 luglio a Montecastelli, per guadagnare tempo, avevano allestito un semplice guado presso il ponte distrutto dai tedeschi, per mettere in comunicazione le due divisioni che operavano ai lati del Tevere. Poi avrebbero montato in vicinanza un ponte Bailey che agevolò non poco il movimento di truppe e mezzi verso nord. Nella notte dal 9 al 10 luglio, mentre si combatteva a Canoscio, aprirono un passaggio oltre il fiume Nestoro con un canale a botte costruito in condizioni di estremo rischio.

 

Per il testo integrale, con le note e i riferimenti iconografici, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.