Aristide Villoresi

È il 1887 la pietra miliare nella storia della fotografia tifernate. Nel giugno di quell’anno “La Scintilla” diffuse l’annuncio pubblicitario di un intraprendente artigiano che si sarebbe radicato con successo in città. Era il ventitreenne Aristide Villoresi, originario di Firenze, che aprì il suo gabinetto fotografico al n. 25 dell’allora via Cavour, l’odierna via XI Settembre. Da quella reclame possiamo ricavare che Villoresi aveva inizialmente un socio, di cui non si trova successivamente menzione; che lo studio era aperto dalle 9 alle 12 del mattino e dalle 15 alle 18 di pomeriggio; infine che i prezzi delle fotografie non erano certo alla portata di tutti. Infatti per i ritratti di dimensioni più piccole, in formato Visita, Villoresi chiedeva 3 lire per 6 copie: si consideri che a quel tempo gli artigiani più bravi non guadagnavano più di due lire e mezzo al giorno. Più care, naturalmente, le fotografie di formato maggiore: per 6 copie, ci volevano L. 4,50 in formato Margherita, L. 6 in formato Gabinetto, L. 12 in formato Salon.

Era, quella,  un’epoca rivoluzionaria per la fotografia. Risale al 1888 l’invenzione della fotocamera portatile Kodak da parte dell’americano George Eastman, commercializzata con lo slogan pubblicitario “Voi premete il bottone, noi faremo il resto”. Tre anni dopo, con l’introduzione di una pellicola di celluloide avvolta in rulli, sarebbe iniziata la storia della moderna pellicola fotografica. Nuove tecnologie che – contestualmente alla diffusione della fotografia amatoriale tra i ceti abbienti – sarebbero penetrate dopo molto tempo in una realtà di provincia come l’Alta Valle del Tevere.

Nel 1890 troviamo Villoresi in corso Vittorio Emanuele II, all’allora n. 38. Nella Guida artistica commerciale della ferrovia Arezzo-Fossato, scritta da Giovanni Magherini Graziani, pubblicizzò “prezzi modicissimi” per  ritratti e foto di gruppo di qualunque grandezza, servizi speciali per bambini e quello che descrisse come “processo istantaneo”. Il gabinetto fotografico, inizialmente al pianterreno, era al secondo piano nel 1896, quando Villoresi reclamizzò “fotografie su porcellana, processo al platino, processo Eastman’s e ritratti inalterabili ultimo sistema”.

Le tante sue fotografie di fine secolo reperite nelle raccolte famigliari confermano il successo di Villoresi a Città di Castello e legittimano la lode del settimanale democratico “Unione Popolare”, che nel 1900 arrivò a definire il suo gabinetto fotografico “tale da paragonarsi ai più cospicui dei centri più importanti d’Italia”.

 

 

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