Manifesti stampati dalla Tipografia Donati.

All’epoca dell’Unità italiana

Le truppe piemontesi entrarono a Città di Castello l’11 settembre 1860. Biagio Donati aveva 58 anni. Teneva in tipografia due torchi a mano, 2 macchine calcografiche, anch’esse mosse a mano, e una pressa a vite. Lavoravano con lui due persone, tra cui quel Giuseppe Grifani che stava svolgendo il servizio militare come trombettiere e che egli aveva già indicato come erede universale. Non avendo figli, lui e la moglie Teresa avevano maturato la decisione di lasciare al nipote, figlio della sorella Apollonia, “tutti i singoli loro beni, mobili, stabili, argenti, biancheria, attrezzi da tipografo, caratteri per stampa, crediti, ragioni, ed azioni”. In realtà Biagio sarebbe sopravvissuto per ben 26 anni al suo testamento e Grifani avrebbe preso in mano le redini della bottega un po’ alla volta e solo quando il longevo zio avrebbe cominciato a soccombere agli acciacchi della vecchiaia.
Sulla base dell’imposizione fiscale del 1859, ammontavano a 23 gli artigiani più cospicui, ai quali si richiese una tassa d’esercizio annua di uno scudo e mezzo. Biagio Donati non era tra questi. Evidentemente il suo giro d’affari non appariva tale da giustificare una simile imposizione fiscale.
La tipografia continuò a rifornire, senza patire concorrenza, i principali enti cittadini: soprattutto il Comune e la Congregazione di Carità. La nuova realtà istituzionale e amministrativa richiese la stesura di regolamenti per disciplinare i servizi pubblici. La Congregazione di Carità ne redasse per il Monte di Pietà; il Municipio per l’edilizia, le pensioni agli impiegati, il servizio mortuario e la distribuzione dei medicini ai poveri.
Dopo l’Unità il tessuto associativo di Città di Castello si arricchì di nuove stimolanti realtà. A giudicare dal numero di stampati che a vario titolo gli furono commissionati, i dirigenti delle associazioni mutualistiche erano di casa in tipografia. Ci capitavano non di rado anche gli animatori dell’Asilo d’Infanzia fondato nel 1862; vi fecero stampare il regolamento e i resoconti, i canti e le preghiere dei bambini, gli avvisi e i programmi per le premiazioni degli alunni distintisi negli esami. Divenne cliente consuetudinaria anche la Società Anonima Tifernate costituita per la gestione della sorgente alcalino-solforosa di Fontecchio e per la promozione dello stabilimento di bagni che vi fu eretto.
L’ambiente ecclesiastico si mantenne prodigo di commesse verso chi, pur non avendo più la qualifica di “stampatore vescovile”, lo era ancora di fatto. Non si inaridì nemmeno la tradizione dei componimenti poetici per avvenimenti religiosi, dall’ordinazione di sacerdoti alla vestizione di suore.

L’estratto è una breve sintesi del testo in A. Tacchini, La Grifani-Donati 1799-1999. Duecento anni di una tipografia (1999).