La torre civica tifernate.

La Torre Civica rischiò una mezza demolizione

In passato i tifernati hanno rischiato di perdere la Torre Civica. Correva l’anno 1854 e si era ancora sotto il governo pontificio. La Torre fungeva da carcere. La sede principale della prigione si situava nel palazzo del Podestà, ma la mancanza di spazio costringeva spesso a ospitare alcuni detenuti nelle quattro celle ricavate ai vari piani della Torre. Chi vi finiva rinchiuso tribolava tanto da tramandare “orribili esegrazioni  contro le angustie e li orrori di quel durissimo carcere”.

Il vescovo di allora, Letterio Turchi, preoccupato per “una fenditura” o un “movimento” della parete di una camera del suo palazzo a contatto con la Torre, chiese un sopralluogo agli ingegneri pontifici. Non disse nulla al gonfaloniere Vincenzo Carleschi, il primo cittadino di quel tempo. Questi si vide recapitare un dispaccio da Roma che ordinava la parziale demolizione della Torre: avrebbe dovuto essere abbassata di 15 metri, “ossia m. 8 sopra l’ultima segreta, ricostruendo ivi il tetto con sottoposta volta della grossezza di cent. 30 onde impedire la fuga dei detenuti”; in tal modo, asseriva l’ingegnere pontificio, “diminuendosi l’altezza della fabbrica, ed anche il peso da sostenersi, scomparirà ogni pericolo di rovina”.

Il gonfaloniere riunì la magistratura cittadina – in pratica il consiglio comunale – e concordò una pronta replica, manifestando la più “alta sorpresa e meraviglia” per come fosse stato all’improvviso “mal concepito il timore di pericolo, e rovina” della Torre. Il gonfaloniere sostenne che non sussisteva alcun “pericolo di rovina, minacciante strapiombo”, e che “il perpendicolare stato” della Torre era da ritenersi “non dissimile da quello dell’epoca della di lei fondazione, ed erezione”.

Le argomentazioni degli amministratori tifernati poggiavano su considerazioni storiche. Merita rileggere alcuni brani della lettera del gonfaloniere:

“Di fatto l’orribile tremuoto rapportato negli annali comunali avvenuto nel 1341 abbatté, sconvolse, ed atterrò la più gran parte di questa città, inclusivamente al Palazzo Comunale detto de’ Priori, ed a quello di residenza de’ Podestà (oggi Governativo) e fu anche capace di malmenare d’assai i singoli torrioni esistenti lunghesso le mura castellane, ed alle porte della città più numerose che al presente, ma lascionne intatta, ed illesa la detta Torre, e nello stato d’incrollabilità in che al presente si mostra, sebbene in’allora ne fosse la elevatezza anche superiore a quella in’oggi esistente.

E quantunque a modo di esempio siasi da me additato soltanto quello avvenuto come sopra, altri ben molti tremuoti si succederono in ogni secolo, che danneggiarono questa città, e li circostanti villaggi […]. Quelli poi, che moltissimi tuttora rammentano, avvenuti nel 1781, e 1789, non fracassarono gran parte della città, e persino una porzione della insigne Cattedrale? Eppure la Torre Comunale nulla affatto sofferse, sebbene anche in’allora, come in’addietro, vi si mostrasse, come vi si mostra, un piccolo vizio perpendicolare, il che convince, che fosse, come dirsi, derivato dalla di lei fondazione, ed erezione, tutto ché sia rimasta sempre incrollabile, a meno che delle invisibili cagioni si attentino a quella demolizione”.

Il ragionamento del gonfaloniere dovette sembrar sensato agli interlocutori romani. Andò a finire che, sia per tranquillizzare il vescovo, sia per “monitorare” le condizioni della Torre, si decise di “apporre diverse grappe in pietra nelle singole crepolature delle mura di detta torre, onde sincerarsi se vi avvenga un qualunque movimento”.

La stabilità della Torre Civica non fu più considerato un problema. Eppure, da allora i monumenti medioevali dell’Alta Valle del Tevere sono stati messi a dura prova da diversi altri terremoti: se consideriamo quelli di entità tra i 5 e i 10 gradi della scala Mercalli, ne sono avvenuti nel 1865, 1892, 1897, 1917, 1918, 1919, 1936, 1948, 1984 e 1997.

 

Articolo pubblicato ne “L’altrapagina”, giugno 2007.