La città vista dal Tevere alla fine dell’Ottocento, in una foto di Enrico Hartmann.

Una città di frontiera tra ‘800 e ‘900

Le vicende di Città di Castello hanno sempre risentito della sua peculiare collocazione geografica: una città di frontiera tra Stato Pontificio e Granducato di Toscana prima, tra Umbria e Toscana poi, in una valle tagliata sin dal XV secolo da un innaturale confine che ha separato popolazioni legate da comuni risorse e problemi ambientali.

Città di Castello è rimasta a lungo una realtà conscia della “distanza” dai centri di potere politico-amministrativo da cui dipendeva (Perugia, Roma), costretta a un isolamento provocato da secolari difficoltà di comunicazione, e nel contempo proiettata verso i limitrofi territori toscani, romagnoli e marchigiani. Una città di frontiera, dunque, come del resto prova un dialetto dai chiari legami con la Romagna e le Marche settentrionali.

La traccia storicamente più evidente di una identità tifernate gelosa di una sua autonomia politico-amministrativa è, in epoca pontificia, la prolungata dipendenza del suo governatore direttamente da Roma, e non da Perugia. Quando, con i rivolgimenti determinati dalla dominazione francese e dalla successiva restaurazione del potere pontificio, questo privilegio venne meno, Città di Castello propose senza successo la costituzione di una delegazione altotiberina di cui avrebbe dovuto essere capoluogo. Anzi, il suo territorio comunale venne addirittura ridimensionato, a più riprese. Non ne giovarono i rapporti con Perugia, che venne percepita ancora più “distante”. Una lontananza anche fisica, ove si consideri che la diligenza impiegava almeno sette ore per collegare le due città.

I tifernati dovettero ingoiare un amaro boccone anche quando tentarono di proporsi come “città di passa”, luogo di transito lungo l’importante arteria di collegamento interregionale tra il Tirreno e l’Adriatico. Nel 1828 le autorità governative optarono per il tracciato di Bocca Trabaria, a nord di Città di Castello, e non di Bocca Serriola, che invece l’avrebbe attraversata. In seguito si ammisero i vantaggi della strada di Bocca Serriola: meno dispendiosa e impervia, più breve e agevole nel periodo invernale. Ma il danno era ormai fatto….

 

Il testo continua nell’allegato.

Il saggio è stato pubblicato in “Umbria Contemporanea”, 2, 2004